Sapori in biblioteca

Marzo-Maggio 2016

Sapori in biblioteca è un percorso espositivo che si snoda tra manuali di agricoltura, trattati e libri di sanità, dissertazioni, lunari e almanacchi conservati nella Biblioteca Manfrediana. L’arco cronologico contemplato si estende dai primi testi sull’argomento (secoli XIII-XIV), fino ai documenti prodotti nell’Ottocento e primi del Novecento.

un dipinto di ciliegie su un ramo con foglie

Sapori in biblioteca prende spunto dal volume Agricoltura e alimentazione (Artestampa, 2015) curato da Zita Zanardi, che ripercorre la storia alimentare e agricola affidandosi agli scritti e alle opere conservate negli istituti culturali della regione.
Attraverso immagini, testi e documenti l’opera testimonia la presenza in Emilia-Romagna di un’importante tradizione agricola e alimentare dalle radici antiche, mettendo in evidenza le colture caratteristiche, le tecniche di produzione, le consuetudini agricole e alimentari (sia quelle che sono arrivate fino a noi che quelle ormai scomparse), la legislazione di competenza, ma anche le curiosità che sono alla base di un settore ancora dinamico e fecondo della nostra regione.
Agricoltura e alimentazione è arricchito con le preziose illustrazioni della Pomona italiana ossia Trattato degli alberi fruttiferi di Giorgio Gallesio, pubblicata fra il 1817 e il 1839 a fascicoli.   L’opera di altissimo livello (e costo) in formato in folio (circa 50 cm), stampata su carta finissima e con finiture di grandissimo pregio, era arricchita di una (o più) immagini a piena pagina, stampate a riga sottile e colorate rigorosamente a mano da qualificati artisti. Il livello di costo fu enorme  e in conseguenza di ciò furono stampate meno di 200 copie. La biblioteca di Faenza conserva uno dei rari esemplari completi, disponibile in versione digitale.

L’apporto alla storia dell’agricoltura e dell’alimentazione prende l’avvio dal Ruralium Commodorum libri XII  del maggiore agronomo del Medioevo occidentale Pietro de’ Crescenzi (Bologna, 1233-1320). L’opera, pubblicata italiano con il titolo Opera di agricoltura, contribuì a determinare la struttura del moderno paesaggio rurale italiano.
Marco Bussato (sec. XVI-XVII)  pubblicò nel 1578 una Prattica istoriata dell’inestare gli arbori (Ravenna, presso Cesare Cavazza, 1578), apparsa in una versione ampliata con il titolo Giardino di agricoltura. Arricchita di nuove illustrazioni, fu  più volte ristampata a partire dal 1593, con le stesse illustrazioni del 1592, a testimoniarne il grande successo.
Frutto di una lunga esperienza maturata nella conduzione dei propri possedimenti è l’opera  di Vincenzo Tanara (Bologna, m. 1669 ca.), pubblicata per la prima volta nel 1644. Il testo rappresenta il superamento di una visione della gestione fondiaria ispirata a una logica di sussistenza a favore di una mirata allo sviluppo della rendita e del profitto.
Giovanni Antonio Battarra (Coriano, 1714 – Rimini, 1789) nella Pratica agraria scritta in forma di dialogo tra un padre e i suoi due figli, Mingone e Ceccone, sostiene la necessità di una agricoltura razionale, evidenziando come il principale difetto dell’agricoltura “nostra” sia imputabile all’analfabetismo dei contadini.
Principe degli agronomi italiani e grande botanico Filippo Re (Reggio Emilia, 1763-1817) fu famoso per gli avanzati studi nel campo della scienza agraria, che contribuirono al rinnovamento dell’agricoltura italiana. L’ortolano dirozzato è una sintesi degli elementi più moderni e attuali della coltivazione degli orti.

La sezione, sulla scia dell’insegnamento ippocrateo, presenta opere tese a sottolineare lo stretto rapporto tra salute e alimentazione ponendo l’attenzione su prodotti indifferentemente utilizzati in cucina e in medicina, prima fra tutti l’acqua, elemento origine della vita nel nostro pianeta. Fra queste opere sono inclusi erbari, farmacopee, “libri di secreti” e tacuina sanitatis. Questi ultimi erano manuali di medicina scritti e miniati diffusisi dalla seconda metà del XIV secolo, che descrivevano, in forma di brevi precetti, quasi dei proverbi, le proprietà mediche di cibi, condimenti, frutta e verdura, ma anche stagioni e fenomeni naturali, sonno e movimento, controllo dei sentimenti, mettendoli in relazione con il corpo umano e fornendo indicazioni sul modo di correggerli e riportarne il maggior beneficio possibile. Traevano la loro origine dal testo del medico arabo Ibn Butlan, attivo a Bagdad nell’XI secolo e il loro nome deriverebbe dall’arabo Taqwin al-Sihha (Tavole della salute): attraverso di essi il continente europeo poté venire a conoscenza delle norme igieniche e alimentari della medicina araba. Dalla funzione pratica di questi testi si passò gradualmente anche a quella estetica. L’esemplare faentino appartiene alla prima edizione del 1531 del manoscritto di Ruggero da Parma, figlio di Giovanni, originario della Finlandia. Ruggero insegnò dapprima a Parma, poi a Salerno, dove fondò la Scuola chirurgica, da cui gli derivò anche il nome di Ruggero Salernitano.
Dall’esigenza di riconoscere e attribuire un nome a tutte le piante che venivano descritte negli erbari allo scopo di studiarne le proprietà nacque la botanica, mentre con la farmacopea l’erboristeria acquisì un carattere ufficiale e divenne un codice di riferimento per il farmacista.
Al soprintendente dell’Orto botanico dello Studio bolognese – incarico che ricoprirà per quarant’anni – arricchendolo di numerose specie anche esotiche –  Giacomo Zanoni (Montecchio, 1615 – Bologna, 1682) si deve l’imponente opera l’Historia botanica, con 105 incisioni di Francesco Curti e di Francesco Maria Francia, che illustrano con estrema precisione altrettante specie.
Molti anni dopo la sua morte Gaetano Monti, prefetto dell’Orto, curò una seconda edizione (la Rariorum stirpium historia) ampliata e tradotta in latino per una maggiore diffusione.
La fonte di S. Cristoforo, “detta anche dell’Olmatello” vantava proprietà che non sfuggirono al medico condotto della città Giovanni Battista Borsieri (Civezzano, 1725 – Milano, 1785)  tanto che riuscì a far ricostruire dal Comune il pozzo per estrarla.  La prima analisi chimica compiuta da Paolo Sarti nel 1812 confermò le caratteristiche terapeutiche già rilevate da Borsieri. Lo stesso Sarti  (Medicina, 1781 – Faenza, 1838), fin dal 1816 condusse ricerche sul territorio collinare prelevando campioni d’acqua da ciascuna fonte per esaminarli, con esiti molto incoraggianti, che confluirono in una serie di opuscoli dedicati alle acque di Brisighella e di Riolo.

Interessanti opere riguardano la tradizione alimentare o specifici generi  o prodotti alimentari: dalle colture cerealicole, ai trattati sul cibo, ai saggi sulla coltivazione delle patate per allontanare lo spettro della fame, come quello di Pietro Maria Bignami (Codogno, sec. XVIII). A lungo avversate come “frutto del diavolo” grazie allo Studio bolognese già nel XVII secolo la patata era stata descritta come pianta medicamentosa, ma non ancora inserita fra quelle alimentari, ma sarà l’agronomo e proprietario fondiario Bignami a diffondere la coltura della patata a scopo alimentare. Giovanni Antonio Battarra (Coriano, 174 – Rimini, 1789) è l’autore di un trattato, corredato di quaranta tavole in rame da lui stesso disegnate e incise, che descrive 248 specie di funghi. Al ravennate Francesco Ginanni (Ravenna, 1716 – 1766) si deve  un lungo racconto sulle meraviglie del bosco ravennate con molte pagine dedicate alle “pine” e ai “pinocchi. Plinio il Vecchio nella sua Naturalis historia scrive che “nihil esse sale et sole utilius”, niente è più utile del sale e del sole, dal momento che fin dall’antichità l’”oro bianco” veniva utilizzato sia per la salatura e la conservazione dei cibi, che come moneta di scambio. L’opera di Pietro Zanoni (Reggio Emilia 1723-1786) ne racconta la storia in forma poetica suddividendola  in tre libri: “Origine, forma, coltivatori, e preparazione delle medesime [saline]”; “Natura, separazione e formazione dei sali” e per ultimo “Raccolta, reposizione, commercio, e dedizione de’ sali”.

Nell’età delle grandi corti rinascimentali le raccolte di istruzioni per la preparazione delle pietanze irrompono sulla scena coinvolgendo non solo cuochi ma anche credenzieri e trincianti. Il cuoco Bartolomeo Stefani (Bologna, ? – Mantova, 1666) acquisì grande fama grazie al suo approdo alla corte dei Gonzaga-Nevers a Mantova, presso cui pubblicò nel 1662 L‘arte di ben cucinare, che fu ristampato più volte, fino alla metà del XVIII secolo. Fu capace di narrare, accanto alle forme e ai rituali di una cucina sfarzosa, anche le pratiche di una più semplice arte culinaria. Il cuoco francese, invece, rientra nella serie di rimaneggiamenti di ricettari di ispirazione transalpina, proposti al pubblico italiano e destinati a influenzare sensibilmente la cucina locale. Si presenta come la traduzione italiana dei ricettari di La Varenne, ma, pur insegnando la maniera di condire ogni tipo di vivanda, non ha alcun rapporto con il Cuisinier françois.

Luneri di Smembar è il lunario dei poveracci, letteralmente dei “pezzenti” ed è uno dei più antichi: la notte di Capodanno del 1844-1845 nell’Osteria della Marianàza di Faenza, un gruppo di artisti disegnò e scrisse il “primo numero” improvvisato per pagare le consumazioni all’oste. La vignetta che lo accompagnava, disegnata dal pittore e scenografo Romolo Liverani e incisa su rame da Achille Calzi, rappresentava un uomo vestito di stracci, con un cappellaccio piumato e d’aspetto trasandato, che cavalcava un ronzino tenendo in una mano una bandiera recante la scritta “Generale dei smembri” e diretto verso un gruppo di catapecchie, su una delle quali era scritto “Locanda della miseria”. Sulla destra un cippo con l’indicazione “Città dei debiti”. Da allora esce ininterrottamente e ancora oggi lo si può acquistare in qualsiasi edicola della Romagna a partire dall’11 novembre, giorno dedicato a San Martino.

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